Volodyk - Paolini2-Eldest Страница 12

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Il dono di Rothgar

Mancava ancora mezz'ora all'alba quando Eragon e Saphira giunsero al cancello nord di Tronjheim. Il cancello era sollevato quel tanto da permettere a Saphira di passare, così si affrettarono a varcarlo e si disposero all'attesa sotto la volta vicina, dove torreggiavano pilastri di diaspro rosso, e sculture di bestie ringhianti si affacciavano fra le colonne color del sangue. Più avanti, due grifoni d'oro alti trenta piedi montavano guardia perenne ai confini di Tronjheim. Coppie identiche si trovavano davanti a ciascun cancello della città-montagna. Non c'era anima viva. Eragon teneva le redini di Fiammabianca. Lo stallone era stato strigliato, ferrato e sellato, con le bisacce che traboccavano di provviste. Scalpitava impaziente; Eragon non lo cavalcava da oltre una settimana. Poco dopo arrivò Orik, con la sua peculiare andatura dondolante, un grosso zaino in spalla e un voluminoso involto sotto il braccio. «Niente cavallo?» domandò Eragon, piuttosto stupito. Si aspetta che andiamo a piedi fino alla Du Weldenvarden?

Orik grugnì. «Faremo sosta a Tarnag, il primo insediamento a nord. Da lì navigheremo lungo l'Az Ragni fino a Hedarth, un avamposto per il commercio con gli elfi. Non ci serviranno cavalcature prima di Hedarth, perciò userò i miei piedi fino a lì.»

Lasciò cadere il fagotto, che produsse un sonoro clangore; quando lo aprì, comparve l'armatura di Eragon. Lo scudo era stato ridipinto - l'albero di quercia al centro era tornato smagliante - e tutte le ammaccature e i graffi erano scomparsi. Sotto c'era la lunga cotta di maglia, lucidata e oliata fino a far scintillare l'acciaio. Non c'era traccia dello squarcio lasciato da Durza quando aveva colpito Eragon alla schiena. Allo stesso modo erano stati riparati la calotta, i guanti, i bracciali, gli schinieri e l'elmo.

«I nostri migliori fabbri si sono adoperati per le tue armi» disse Orik, «come anche per la tua bardatura, Saphira. Ma poiché non possiamo portare con noi un'armatura per draghi, è stata affidata ai Varden, che la custodiranno fino al nostro ritorno.»

Per favore, ringrazialo da parte mia, disse Saphira.

Eragon eseguì, poi si allacciò i bracciali e gli schinieri, riponendo gli altri pezzi nelle bisacce. Per ultimo, stava per prendere l'elmo, quando vide che lo reggeva Orik. Accarezzando pensieroso il copricapo d'acciaio, il nano disse: «Non essere troppo precipitoso nell'indossarlo, Eragon. Devi prima fare una scelta.»

«Di quale scelta parli?»

Il nano sollevò l'elmo e ne rivelò la lucida visiera, che, Eragon notò, era stata alterata: incisi nell'acciaio c'erano il martello e le stelle del clan di Rothgar e Orik, l'Ingietum. Orik aggrottò la fronte, con un'espressione a metà fra il compiaciuto e il preoccupato, e disse in tono formale: «Il mio re, Rothgar, desidera farti dono di questo elmo come pegno dell'amicizia che prova per te. E con esso, Rothgar ti porge l'offerta di adottarti come uno del Dùrgrimst Ingietum, quale membro della nostra famiglia.»

Eragon fissò l'elmo, sconcertato dal gesto di Rothgar. Questo vuol dire che sarò soggetto alla sua autorità? Se continuo a promettere fedeltà e alleanze a questo ritmo, mi ritroverò presto imbrigliato, incapace di fare qualsiasi cosa senza infrangere un giuramento!

Non devi indossarlo per forza, precisò Saphira.

E rischiare di offendere Rothgar? Siamo di nuovo in trappola.

D'altro canto, potrebbe essere un dono sincero, un altro segno di otho, non una trappola. Credo che sia un modo per ringraziarci della mia promessa di risanare Isidar Mithrim.

Eragon non ci aveva pensato, troppo assorto a immaginare in che modo il re dei nani volesse approfittare di loro. Giusto. Ma credo sia anche un tentativo di correggere lo squilibrio di poteri creatosi quando ho giurato fedeltà a Nasuada. I nani non devono essere rimasti molto soddisfatti della piega che hanno preso gli eventi. Si rivolse a Orik, che attendeva ansioso: «Quante volte è stata fatta una simile offerta?»

«A un umano? Mai. Rothgar ha discusso con le famiglie dell'Ingietum un giorno e una notte prima di convincerle ad accettarti. Se acconsenti a portare il nostro emblema, avrai tutti i diritti di un membro del clan. Potrai venire ai nostri consigli e intervenire su ogni questione. E» aggiunse solenne, «se lo desideri, avrai il diritto di essere seppellito con i nostri defunti.»

Fu allora che il valore del gesto di Rothgar si rivelò a Eragon in tutta la sua grandiosità. I nani non potevano offrire onore più immenso. Con un rapido movimento, Eragon prese l'elmo dalle mani di Orik e se lo calcò in testa. «È un vero privilegio per me unirmi al Dùrgrimst Ingietum.»

Orik annuì soddisfatto e disse: «Ora prendi questo Knurlien, questo Cuore di Pietra, fra le tue mani... sì, così. Adesso devi tagliarti una venuzza per bagnare la pietra. Qualche goccia sarà sufficiente... E per finire, ripeti con me: Os il dom qirànù earn dùr thargen, zeitmen, oen grimst vor formv edaris rak skilfz. Narho is belgond...» Fu un lungo discorso, ancora più prolisso perché Orik si fermava a tradurre ogni singola frase. Alla fine, Eragon si guarì la ferita con un semplice incantesimo.

«Checché ne dicano i clan» osservò Orik, «ti sei comportato con integrità e rispetto. Non possono ignorarlo.» Sogghignò. «Facciamo parte dello stesso clan, adesso. Sei mio fratello adottivo! In circostanze normali, Rothgar ti avrebbe donato l'elmo di persona, e avremmo organizzato una lunga cerimonia per festeggiare il tuo ingresso nel Dùrgrimst Ingietum; tuttavia il precipitare degli eventi non ci permette di perdere altro tempo. Ma non pensare di cavartela così! La tua adozione sarà celebrata con i rituali del caso quando tu e Saphira tornerete nel Farthen Dùr. Brinderai e danzerai, e dovrai firmare molti pezzi di carta per formalizzare la tua nuova posizione.» «Non vedo l'ora che arrivi quel giorno» disse Eragon, ancora intento a esaminare ogni possibile sottinteso della sua affiliazione al Dùrgrimst Ingietum.

Orik si sfilò lo zaino dalle spalle, si sedette appoggiato a un pilastro ed estrasse la sua ascia, che cominciò a rigirarsi fra le mani. Dopo qualche minuto, guardò infuriato Tronjheim e sbottò: «Barzul knurlar! Dove si sono cacciati? Arya ha detto che sarebbe venuta subito. Ha! Gli elfi hanno un concetto molto elastico del tempo.»

«Li conosci da molto?» domandò Eragon, accovacciandosi accanto a lui. Saphira osservava la scena con interesse. Il nano scoppiò a ridere. «Età. Ho conosciuto soltanto Arya, e sempre in maniera sporadica perché viaggiava spesso. In settantanni ho imparato soltanto una cosa su di lei: non puoi mettere fretta a un elfo. È come prendere a martellate una lima: magari si spezza, ma non si piega.»

«Ma i nani, non sono anche loro così?»

«Già, ma la pietra col tempo può cambiare.» Orik sospirò e scosse il capo. «Fra tutte le razze, gli elfi sono quelli che cambiano meno, ragion per cui non ho molta voglia d'incontrarli.»

«Ma pensa, conosceremo la regina Islanzadi e vedremo

Ellesméra e chissà cos'altro! Quand'è stata l'ultima volta che un nano è stato invitato nella Du Weldenvarden?» Orik si accigliò. «La bellezza dei luoghi non significa niente. Questioni urgenti riguardano Tronjheim e le nostre altre città, ma a me tocca andare dall'altro capo di Alagaésia per scambiare convenevoli e assistere al tuo addestramento, ingrassando per l'ozio. Potrebbero volerci anni!»

Anni!... Ma se necessario alla sconfitta degli Spettri e dei Ra'zac, lo farò.

Saphira gli toccò la mente. Dubito che Nasuada ci permetterà di restare a Ellesméra più di qualche mese. Considerato quanto ha detto, ci sarà bisogno di noi molto presto.

«Finalmente!» esclamò Orik, alzandosi in piedi.

Stava arrivando Nasuada - le pantofoline ricamate che spuntavano dall'orlo della veste come topolini che si affacciano dalla tana - insieme a Jòrmundur e Arya, che portava uno zaino simile a quello di Orik. Indossava lo stesso completo di pelle nera con cui Eragon l'aveva vista la prima volta, e aveva con sé la spada.

All'improvviso Eragon si rese conto che Arya e Nasuada avrebbero potuto non approvare il fatto che si fosse legato all'Ingietum. Un profondo senso di colpa e di trepidazione lo pervase nel riconoscere che sarebbe stato suo dovere consultarsi prima con Nasuada. E Arya! Fece una smorfia al ricordo di come lei si era arrabbiata dopo il suo primo incontro con il Consiglio degli Anziani.

Quando Nasuada si fermò davanti a lui, Eragon evitò il suo sguardo, imbarazzato. Ma lei disse soltanto: «Hai accettato.» Il suo tono era cortese, controllato.

Lui annuì, con gli occhi ancora bassi.

«Mi chiedevo se l'avresti fatto. Ancora una volta, ti trovi vincolato a tutte e tre le razze. I nani possono rivendicare la tua alleanza in qualità di membro del Dùrgrimst Ingietum, gli elfi ti addestreranno e ti plasmeranno - e la loro influenza probabilmente sarà la più forte, poiché tu e Saphira siete legati dalla loro magia - e hai giurato fedeltà a me, un'umana... Tutto sommato, credo sia un bene che tutti noi condividiamo la tua lealtà.» La giovane accolse lo stupore di Eragon con uno strano sorriso, poi gli mise in mano un sacchetto di monete e si fece da parte.

Jòrmundur gli tese la mano ed Eragon ricambiò la stretta, ancora piuttosto confuso. «Buon viaggio, Eragon. Abbi cura di te.»

«Andiamo» disse Arya, oltrepassandoli per immergersi nelle tenebre del Farthen Dùr. «È tempo di partire. Aiedail è tramontata, e ci aspetta un lungo cammino.»

«Pronti» disse Orik, ed estrasse una lanterna rossa da una tasca laterale dello zaino.

Nasuada li guardò ancora una volta. «Molto bene. Eragon e Saphira, vi accompagni la benedizione dei Varden, come anche la mia personale. Vi auguro un viaggio tranquillo. Ricordate, con voi portate il peso delle nostre speranze e delle nostre aspettative, perciò fatevi onore.»

«Faremo del nostro meglio» promise Eragon.

Con le redini di Fiammabianca saldamente in pugno, Eragon si avviò dietro Arya, che era già avanti di parecchie iarde. Orik lo seguì, e infine Saphira. Nel passare accanto a Nasuada, la dragonessa si fermò un istante per leccarle la guancia. Poi allungò il passo e li raggiunse.

A mano a mano che si allontanavano verso nord, il cancello alle loro spalle rimpiccioliva sempre di più, finché non rimase che uno spiraglio di luce su cui si stagliavano le due sagome nere di Nasuada e Jòrmundur fermi sulla soglia. Quando alla fine raggiunsero la base del Farthen Dùr, trovarono una porta gigantesca - alta trenta piedi - con i battenti spalancati. I tre nani di guardia s'inchinarono e si fecero da parte. Oltre la porta cominciava un tunnel di analoghe proporzioni, fiancheggiato da colonne e lanterne per i primi cinquanta piedi. Il resto era vuoto e silenzioso come un mausoleo.

Era identico all'ingresso occidentale del Farthen Dùr, ma Eragon sapeva che quel tunnel era diverso: invece di scavarsi la strada per oltre un miglio nel fianco del Farthen Dùr per emergere all'esterno, proseguiva sotto terra di montagna in montagna, fino alla città di Tarnag.

«Ci siamo» disse Orik, sollevando la lanterna.

Lui e Arya varcarono la soglia, ma Eragon esitò, pervaso da un'improvvisa incertezza. Anche se non aveva paura del buio, lo turbava il pensiero di trovarsi immerso in una notte eterna finché non fossero arrivati a Tarnag. Una volta entrato nel tunnel, si sarebbe di nuovo avventurato fra le braccia dell'ignoto, abbandonando le poche cose cui si era abituato fra i Varden, in cambio di un destino incerto.

Cosa c'è? gli chiese Saphira.

Niente.

Trasse un profondo respiro e riprese il cammino, lasciando che la montagna lo inghiottisse nelle sue viscere.

Falci e forconi

Tre giorni dopo l'arrivo dei Ra'zac, Roran camminava avanti e indietro ai margini del suo piccolo accampamento sulla Grande Dorsale, in preda a una forte inquietudine. Non aveva avuto più notizie dalla visita di Albriech, né gli era possibile carpire informazioni dal suo punto di osservazione su Carvahall. Scoccò un'occhiata furente alle tende lontane dove dormivano i soldati, poi riprese a camminare.

A mezzogiorno consumò un magro pasto freddo. Asciugandosi la bocca col dorso della mano, si domandò: Ma quanto intendono aspettare i Ra'zac? Se era una gara di pazienza, era deciso a vincerla.

Per ammazzare il tempo, si esercitò al tiro con l'arco contro un tronco marcio, fermandosi solo quando una freccia s'infranse contro una pietra incastrata nel legno. A quel punto non gli rimase altro da fare che ricominciare a marciare avanti e indietro lungo l'arido sentiero che andava da un grosso masso fino al punto in cui dormiva. A un tratto sentì un rumore di passi provenire dalla foresta sottostante. Afferrò l'arco e si nascose in attesa. Con grande sollievo accolse la comparsa della faccia di Baldor tra il fogliame. Roran gli fece cenno di avvicinarsi. Si sedettero a terra e Roran gli chiese: «Perché non è più venuto nessuno?»

«Non potevamo» rispose Baldor, asciugandosi la fronte imperlata di sudore. «I soldati ci stanno addosso. Oggi è stata la prima volta che ho avuto occasione di svignarmela.

Ma non posso trattenermi a lungo.» Alzò lo sguardo verso il picco che torreggiava su di loro e rabbrividì. «Sei molto più coraggioso di me, a restare qui. Hai avuto problemi con gli orsi, i lupi o i puma?»

«No, no, sto bene. Novità sui soldati?»

«Uno di loro, l'altra sera, si è vantato con Morn che ogni elemento della loro squadra è stato selezionato con cura per questa missione.» Roran aggrottò la fronte. «Non sono tipi tranquilli, sai... Almeno due o tre si ubriacano ogni sera. Il primo giorno alcuni hanno distrutto la sala comune di Morn.»

«Hanno pagato i danni?»

«Ma figurati!»

Roran rivolse lo sguardo al villaggio. «Ancora non capisco perché l'Impero si dia tanto da fare per catturarmi. Cosa vogliono da me? Cosa credono che potrei dargli?»

Baldor seguì il suo sguardo. «I Ra'zac hanno interrogato

Katrina stamane. Qualcuno gli ha riferito che voi due siete molto amici, e i Ra'zac volevano sapere se lei era al corrente di dove fossi finito.»

Roran si volse di scatto verso Baldor. «Lei sta bene?»

«Ci vuole ben altro che quei due per spaventarla» lo rassicurò Baldor. Poi pronunciò la frase seguente con cautela. «Magari potresti consegnarti.»

«Preferirei impiccarmi, e loro con me!» Roran scattò in piedi e cominciò a percorrere la solita pista, battendosi le mani sulle gambe. «Come puoi dire una cosa simile, sapendo come hanno torturato mio padre?»

Baldor lo afferrò per un braccio e disse: «Cosa accadrà se resti ancora nascosto e i soldati non si arrendono? Penseranno che stiamo mentendo per aiutarti a fuggire. L'Impero non perdona i traditori.»

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